La vita da tennista di Alessandro Giannessi
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  • Immagine del redattoreRiccardo Riosa

La vita da tennista di Alessandro Giannessi

Alessandro Giannessigià a dodici anni è tra i primi d'Italia e viene poi convocato in Tirrenia a quattordici. Prosegue con la carriera nei Juniores per poi passare ai pro, la differenza principale? «Non sta tanto nella tecnica e nella tattica, quanto nella gestione della partita». Alessandro vince il suo primo torneo ITF a vent'anni a Madrid e la cosa che ricorda di piùè la buona gestione della sua settimana fuori dal campo. Arriva uno stop nel 2014 a causa di un infortunio ed operazione al polso. È proprio in questo che investirebbe più attenzione tornando indietro: già da giovane iniziare con prevenzione infortuni e dare più attenzione uno sviluppo motorio più equilibrato.


Per vivere di tennis Alessandro ci racconta che è necessario essere tra i top 100 o al massimo 150 al mondo. I premi sono molto squilibrati se si mette a confronto la vincita e chi esce al primo turno, che è sempre un tennista molto bravo. Un giocatore in una stagione affronta circa trentacinque tornei, di questi si concentra su cinque, dove si impegna per ottenere un buon risultato che gli permetta di sostenersi. Aiuta anche la partecipazione ai doppi. Alessandro partecipa a un misto di tornei misti tra ATP e Challenger e tutti gli piacciono, ha riscontrato che il pubblico più caloroso sono gli argentini. Gli abbiamo chiesto se spicca qualche torneo in negativo e ci racconta «Mi è capitato di partecipare a un Challenger dove non c'erano raccattapalle. Principalmente è strano, ma vista la situazione attuale, per garantire la sicurezza dei ragazzi potrebbe essere necessario fare da soli sia per le palle che per l'asciugamano. Sì, ci sarà un po' di smarrimento iniziale, ma ci abitueremo».


Per il mio lavoro il team è molto importante. Io mi affido al coach Claudio Cipolla, al preparatore atletico Diego Silva ed al mental coach Stefano Massari. In particolar modo con l'ultima figura, si deve trovare una persona con la quale c'è un buon feeling e ci si deve credere.


«Scaramanzie? No, piuttosto ho la mia routine prima di una partita, che consiste nel preparare la racchette. Poi per la pressione che si sviluppa in campo e alla quale siamo sottoposti non ci sono riti che aiutino, ci si allena di continuo».





Volete riascoltare l'intervista? È disponibile a questo link



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