L'esperienza di Simone Vagnozzi: uno sguardo d'insieme sulla vita dei tennisti
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  • Immagine del redattoreRiccardo Riosa

L'esperienza di Simone Vagnozzi: uno sguardo d'insieme sulla vita dei tennisti

Simone Vagnozzi ha conosciuto il tennis da bambino e lo ha allenato insieme al calcio fino al fatidico momento della scelta di una sola disciplina da seguire. Già a tredici anni risulta tra i migliori d'Italia, poi a sedici entra nel Centro di Caldaro in Alto Adige. Si susseguono molte esperienze formative che gli permettono di vedere molte sfaccettature del tennis e di come viene vissuto in giro per il mondo: in Egitto gli capita di giocare su un campo in terra rossa con linee disegnate con gesso, con gioco in corso e raccattapalle a piedi nudi non si capiva più nulla.


Dopo il passaggio al professionismo raggiunge la miglior forma nel 2010-2011 e nel torneo di Barcellona 2011 batte anche Fabio Fognini. In seguito a dei problemi fisici si allontana per un po' dal campo e si sposa. Dopo un po' viene chiamato da Quinzi come allenatore per poi passare a diventare il coach di Cecchinato, portandolo dalla posizione 180 del ranking mondiale nel 2016 al numero 16 nel 2018. Dal 2019 allena Stefano Travaglia.

I contratti con i giocatori possono variare dallo stipendio fisso alla percentuale, con anche forme contrattuali miste variabili.

Simone programma il gioco di un atleta in blocchi di due o tre mesi, chiaramente le cose possono variare in base ai risultati. Ad esempio se in due tornei consecutivi si raggiunge la finale, si cancella l'iscrizione al torneo successivo per permettere al giocatore di riposare dopo tante partite.


La strategia del coach a livelli così alti si concentra molto sull'aspetto mentale per poi passare anche a lavorare su tattica e tecnica, magari con l'aiuto della video analisi. Simone per quanto riguarda la video analisi, si appoggia a Raffaele Tataranni.


A guardare indietro Simone sceglierebbe ancora la vita che il tennis gli ha donato, magari approfittando di più dei viaggi fatti per esplorare le città che non ha avuto veramente occasione di visitare. I suoi riferimenti come coach sono Massimo Sartori, Jose Perlas e in primis Riccardo Piatti e crede fermamente che per essere un buon coach non sia strettamente necessario esser stato prima un giocatore. In Italia spesso si guarda la tecnica, ma secondo Simone si dovrebbe dare più importanza all'aspetto mentale ed all'atteggiamento.


Il torneo preferito? Anche Simone conferma la bellezza degli US Open, aggiungendo anche Umago per la sua atmosfera tranquilla.





Volete riascoltare l'intervista? È disponibile a questo link



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